«Troppe persone, pochi look»: la vita frenetica di uno stylist delle celebrità di oggi

Ai giorni nostri, le cerimonie di premiazione si sono sostanzialmente trasformate in sfilate di moda. Perciò è normale che il protagonista principale del dopo premiazione non sia stato uno dei nuovi proprietari di una statuetta d’oro. Il personaggio in questione è lo stylist delle celebrità Law Roach che ha abbandonato pubblicamente la professione dopo uno dei weekend più importanti della propria carriera.

«La mia tazza è ormai vuota…» Ha scritto Roach, 44 anni, in una didascalia di Instagram sotto una grafica con la scritta RETIRED, ritirato. «Se questo mestiere si limitasse ai vestiti lo farei per il resto della mia vita, ma purtroppo non è così!». L’intero settore è rimasto scioccato. In un’epoca in cui la moda di lusso gioca un ruolo senza precedenti nella vita pubblica, Roach era uno degli stilisti di celebrità, o «architetti dell’immagine» come lui stesso si definiva, più richiesti al mondo. Oggi, il cosiddetto step-and-repeat, l’ambiente dello spettacolo, è uno spazio dinamico in cui le star possono creare e rinnovare le loro narrazioni personali, raggiungere un nuovo pubblico e concludere lucrosi accordi di sponsorizzazione. Sono finiti i tempi in cui gli inviati sul red carpet si limitavano a chiedere alle star: «Come sei vestito?». Ora ci aspettiamo di più dalle nostre celebrità griffate. Durante le quasi cinque ore di copertura del tappeto rosso degli ultimi Oscar, potresti aver sentito una domanda che segue una logica legata a una linea di indagine un po’ più filosofica: «Che storia stai cercando di raccontarci con questo vestito?». Roach possedeva un talento speciale nel cogliere il momento, grazie a una visione mirata alla viralità e a una conoscenza approfondita della moda d’archivio in grado di trasformare sia le nuove star, quali Zendaya e Anya Taylor-Joy, sia nomi affermati del calibro di Céline Dion e Anne Hathaway, in muse di stile per una nuova generazione di maniaci della moda. Il successo dei suoi clienti si è intrecciato a tal punto alla propria carriera che Roach è diventato una celebrità a tutti gli effetti: va in giro per la fashion week insieme a Zendaya e scatta selfie con i fan urlanti fuori dalle sfilate. Tuttavia, da quanto ha raccontato a The Cut in un’intervista rilasciata pochi giorni dopo il suo annuncio a sorpresa, ha dovuto appendere il suo vaporizzatore per vestiti al chiodo e andarsene perché, come ha dichiarato, «non voglio più soffrire». Chi non è rimasto sconcertato dalla scelta fatta da Roach? Gli altri stylist delle celebrità che conoscono fin troppo bene le tensioni personali e le lotte di potere derivanti dalla loro posizione all’incrocio tra Hollywood e le case di moda europee. Nei giorni successivi al ritiro di Roach, ho parlato con diversi stylist e consulenti di moda che vestono alcuni dei più grandi nomi internazionali dell’intrattenimento, ovvero Lil Nas X, Justin Bieber, Pedro Pascal e molti altri. Lo scopo è comprendere in che modo vengono schiacciati dalla nuova alleanza della moda con Hollywood, dall’ascesa dei critici dei social media e persino dallo stato di crisi in cui versa l’abbigliamento da cerimonia.

I primi tempi

All’inizio degli anni ’90 le celebrità erano come noi: si vestivano da sole. Poi Giorgio Armani è riuscito a portare il suo marchio di lusso italiano a Tinseltown. Nel 1990 ha dominato gli Oscar vestendo quasi tutte le più grandi star sul tappeto rosso. Non a caso la cerimonia è passata agli annali come «Armani Awards». Nel 1994, Joan Rivers iniziò a coprire il red carpet per E! e la corsa delle case di moda a fare indossare alle star i loro abiti era ormai partita. Arrivarono gli stylist che si trovarono a dovere giocare un gioco di equilibri ad alto rischio. Da un lato, gli stylist avevano un enorme potere, in quanto controllavano l’accesso delle case di moda ai loro scintillanti clienti. Dall’altro lato, lavoravano per il piacere di quei clienti e alla mercé degli studi cinematografici che ne pagavano le spese. Era una vita di ricchezza e glamour, costruita su fondamenta traballanti: i capricci delle star del cinema e dei dirigenti del mondo dello spettacolo.

Il controllo dei social media

Gli stylist si sono poi trovati nell’attuale condizione di dovere fare i conti anche con la lente d’ingrandimento dei social media. «Già cinque anni fa il fenomeno dei red carpet sui social media non era impazzito quanto ora», afferma Ilaria Urbinati, la stylist che sta dietro agli abiti da red carpet di Donald Glover, in continua evoluzione. A poche settimane dagli Oscar, #Oscars23 registra 1,2 miliardi di visualizzazioni su TikTok, con una percentuale impressionante di video che si concentrano esplicitamente sull’abbigliamento da red carpet. I vantaggi per una celebrità in grado di esprimere un messaggio chiaro e coraggioso sul tappeto rosso, come ad esempio l’abito Louis Vuitton a torso nudo di Timothée Chalamet agli Oscar dell’anno scorso, non sono mai stati così grandi. Uno stile di abbigliamento eccellente può trasformarti, da un giorno all’altro, in una star della moda e in un habitué delle prime file. Al contrario, una silhouette raffazzonata viene derisa senza pietà e rimane online per sempre. Ad alcuni stylist, presi in mezzo da questo meccanismo, è stato raccomandato di ridimensionare le loro ambizioni. «Sono stato al telefono con i pubblicitari e mi hanno detto: ‘Vogliamo un look alla Timothée Chalamet’», racconta il redattore di moda e veterano dei red carpet Ian Bradley, in riferimento agli abiti audaci e senza veli indossati dal giovane rubacuori, nonché eccentrico campione di stile. In realtà, secondo Bradley, i manager dell’agenzia pubblicitaria «non vogliono che il loro assistito faccia qualcosa da loro percepito come rischioso». Anche i clienti, come è comprensibile, sono un po’ titubanti, soprattutto in tempi in cui le celebrità si trovano spesso dalla parte sbagliata dei dibattiti e delle controversie che infuriano online. «Ci sono persone che non sanno come proporsi in contesti complessi», afferma Julie Ragolia, la stylist e consulente che ha collaborato con Pedro Pascal al press tour di Mandalorian e ha trasformato l’attore in un’improbabile icona di stile. «Viviamo in un momento critico. Non attraversiamo un periodo di prosperità e nemmeno di pace. Siamo sul filo del rasoio».

La domanda supera l’offerta

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Nel frattempo, mentre la pandemia si è attenuata, i grandi eventi hanno registrato un boom e il passaggio a un abbigliamento più informale, accelerato dalla pandemia, ha lasciato gli stilisti alle prese con il riassortimento dei propri scaffali. «Dal punto di vista commerciale, i marchi non producono più così tanti abiti da sera e da cerimonia come 10 anni fa», afferma Bradley. La stylist Karla Welch che ha vestito non meno di 11 persone durante il weekend degli Oscar, tra cui Justin e Hailey Bieber, Tracee Ellis Ross, Olivia Wilde e Sarah Polley, afferma: «Credo che la sfida più grande possa essere riassunta in quattro parole: troppe persone, pochi look». Quasi tutti gli stylist con cui ho parlato hanno affermato che anche le loro tempistiche si stanno accorciando: la Welch pensava di avere degli Oscar all’insegna della leggerezza, ma non è stato così. «Questo mi ha colto di sorpresa», confessa. «Lo stylist è sempre l’ultimo a conoscere il programma del talent», aggiunge Bradley.

Può essere difficile trovare vestiti anche se sono disponibili. Jyotisha “Joy” Bridges si occupa dello stile di Lil Nas X, la cui immensa celebrità lo rende una sorta di cliente da sogno. In occasione dell’apparizione di Nas alla sfilata di Versace di questo mese a Los Angeles, Bridges ha collaborato con l’atelier milanese per realizzare una maglia e una gonna personalizzate, impreziosite da gioielli scintillanti. Rispetto agli standard della sartoria d’alta moda, il look è stato realizzato alla velocità della luce: solo una settimana e mezza, a detta di Bridges. Il problema sono i suoi clienti che non hanno 12 milioni di follower su Instagram: il processo per ottenere un qualsiasi brandello di abbigliamento può richiedere ancora più tempo. «La gente non capisce che se il tuo cliente è meno noto, il modo in cui devi implorare, sollecitare e offrire il tuo primo figlio per avere dei vestiti è pazzesco», spiega Bridges.

Le case di lusso fanno di tutto per coltivare relazioni strette con stylist di spicco, ma si difendono anche strenuamente dai talenti considerati fuori dai canoni del loro brand. Di recente, un rappresentante di un’importante casa parigina mi ha informato con una certa euforia del fatto che un rapper di serie A per indossare uno degli abiti del marchio era stato costretto ad acquistarlo in negozio. Persino Zendaya non riusciva a procurarsi i vestiti all’inizio della sua carriera, come ha ricordato lo stesso Roach a The Cut: «Al nostro ingresso nell’industria, non interessavamo a nessuno. Nessuno voleva prestarmi dei vestiti. Nessuno voleva vestirla perché, a quel tempo, le ragazze Disney non erano considerate vere attrici».

Un lavoro glamour?

«Direi che il lavoro è per il 40% creativo e per il 60% organizzativo», afferma Bridges, aggiungendo come la maggior parte delle persone pensi erroneamente che la vita di uno stylist di moda sia fatta di feste e prime file. Bridges lo sa bene: è proprio questo il motivo per cui voleva entrare nel mondo del lavoro, prima di ottenere l’ambito posto di assistente nello studio di styling di Law Roach. «Non avevo idea che non ci fosse alcun tipo di glamour una volta entrati nel mondo del lavoro», sottolinea Bridges. Il lavoro dalle 09.00 alle 17.00 per il quale pensava di avere firmato si è trasformato rapidamente in una montagna russa 24 ore su 24, 7 giorni su 7: Bridges era spesso in ufficio fino a tarda notte per seguire i pacchi in arrivo da Parigi, mentre cercava di capire come gestire l’ultimo pettegolezzo sul cattivo comportamento di uno stylist o su quale marchio fosse ai ferri corti con gli addetti ai lavori. «La maggior parte dei problemi è legata alla burocrazia e alle questioni politiche del settore», afferma Bridges, il cui ex capo ha citato il duro stile di vita da freelance tra i fattori che lo hanno spinto a ritirarsi. «Non voglio più soffrire», ha lamentato Law Roach a The Cut. «Desidero smettere di essere infelice. Non voglio restare agli ordini delle persone e dei loro team. Voglio prendermi un po’ di tempo e capire, per esempio, cosa fare della mia vita». 

La preponderante importanza degli accordi commerciali con il brand

Quando Roach ha annunciato il ritiro, i suoi fan hanno subito individuato una causa a cui attribuire la colpa: il presunto nuovo contratto di Zendaya con Louis Vuitton. Le star del cinema hanno rapporti stretti con gli stilisti da quando Audrey Hepburn si è dedicata a Hubert de Givenchy. Nel presente, i contratti di ambassador di marchi esclusivi sono la rovina degli ossessionati dalla moda che li vedono come manette dell’alta moda. Il legame di Kristen Stewart con Chanel, per fare un esempio, è il più criticato. Un tweet rappresentativo recita più o meno così: «Cose che devono essere libere: l’assistenza sanitaria e Kristen Stewart dal suo contratto con Chanel».

Sono numerosi gli stylist contrari a questo tipo di accordi, nonostante il fatto che di solito vengano inseriti negli accordi con i marchi dei loro clienti. «Ritengo che i marchi rendano un grande disservizio quando ingaggiano un talento e pretendono che ogni singolo look sia realizzato da loro», afferma Karla Welch che è entrata a far parte della lista dei migliori stylist di Hollywood stilata da The Hollywood Reporter nel 2023. «Si toglie tutto il divertimento della narrazione e penso che spesso possa avere un impatto negativo sia sulla celebrità, sia sui marchi». Quando Welch ha curato lo stile di Ruth Negga per la sua leggendaria corsa agli Oscar nel 2017, l’attrice ha indossato Valentino, Prada, Miu Miu, Givenchy, Gucci, Marc Jacobs e Dolce & Gabbana, ma anche marchi minori come Erdem, The Vampire’s Wife e Rodarte, diventando così una star della moda. «Era più importante divertirsi e raccontare storie e fondamentalmente indossare ciò che volevamo», commenta la Welch. Naturalmente, a Hollywood i soldi parlano e quelli che derivano dai contratti di moda e gioielleria possono aiutare un attore a ottenere un ruolo nel nuovo film di A24 invece che in un altro blockbuster della Marvel. Welch la mette in questi termini: «Se qualcuno mi offrisse 11 milioni di dollari per indossare un marchio, li accetterei».

A causa della quantità di denaro in circolazione e della crescente diffusione delle politiche di full-look richiesta dalle grandi case di moda, i piccoli marchi sono sempre più tagliati fuori. Sebbene gli stilisti emergenti non partecipino al blackout dei talenti, non hanno nemmeno i budget illimitati destinati alle spese di spedizione dei marchi più importanti, né la possibilità di creare look da passerella su misura per i talenti di dimensioni diverse da quelle standard. «Soprattutto, nella moda di oggi è più facile rischiare quando hai una taglia normale», afferma Bridges. Per gli stylist che si impegnano a dare una piattaforma ai marchi emergenti, non è raro che riescano a malapena ad andare in pari con i lavori più piccoli. «Vuoi sostenere i nuovi marchi, ma poi ti chiedi: ‘Ok, avrò a disposizione mille dollari solo per la spedizione?’» osserva Bradley. E una volta portati gli abiti alla prova, gli stylist sono spesso ostacolati da agenti di grandi personaggi pronti a escludere qualsiasi marchio che possa ostacolare potenziali contratti con brand riconosciuti. «L’obiettivo di ottenere contratti inizia presto; quindi, questi agenti non capiscono il valore di fare indossare ai loro clienti, ad esempio, un giovane stilista inglese di tendenza», conclude Bradley. «Non si tratta di trovare il miglior design per loro, ma di muoversi per attirare l’attenzione di LVMH e Kering».

Snobbare gli stilisti

Forse la minaccia più grande allo status quo degli stylist di Hollywood, però, è il fatto che alcune delle più influenti celebrità appassionate di moda semplicemente si rifiutano di avere a disposizione un vero stilista. Come osserva la Urbinati: «Gli esseri umani sono competitivi». L’ascesa della figura professionale dello stylist aiuta a spiegare l’impatto del concetto di «No Stylist» fatto proprio dall’hip-hop e poi diventato un biglietto da visita per gli stili di vita sconclusionati e lussuosi coltivati da Lil Uzi Vert, French Montana e Future. Il concetto di No Stylist non si limita ai red carpet. Non si tratta nemmeno dell’anti-stile di persone esperte di abbigliamento da lavoro come Daniel Day-Lewis e persino dell’appassionato di pantaloncini da basket larghi Adam Sandler, la cui profonda mancanza di interazione con la moda ha affascinato uomini che non si trovano spesso a sfilare su tappeti rossi. È difficile contestare che le apparizioni annuali a torso nudo di Timothée Chalamet siano più influenti dell’abitudine di Uzi allo streetwear di lusso.

In definitiva, Law Roach aveva ragione quando The Cut gli ha chiesto cosa avrebbero fatto i suoi clienti dopo la decisione di ritirarsi. È stato inequivocabilmente chiaro: «Troveranno un nuovo stilista».

Additional reporting di Eileen Cartter.

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