Vincent Cassel: «Un altro figlio? Perché no»

Questo articolo è pubblicato su Vanity Fair n. 13 in edicola fino al 28 marzo 2023

E poi irrompe lei, impaziente: «Papà hai finito?». Da serio, il volto di Vincent Cassel si scioglie in un secondo in un sorriso sorpreso: «Come sei bella amore, sei troppo carina… Sto lavorando, arrivo. Resta così». «Quando?». «Subito amore, vai». Amazonie, 3 anni e mezzo, richiude la porta e lui mi spiega che si è affacciata travestita, con la faccia truccata da pantera. Dice: «È una bambina allegra, una ricarica di energia in miniatura». L’attore è nella sua casa parigina, dove vive con la piccola e Tina Kunakey, sua moglie da cinque anni. È in un raro momento di pausa tra i vari set che lo impegnano (ora su quello di The Shrouds, il nuovo film del regista canadese David Cronenberg), presto lo vedremo al cinema come Athos nei Tre moschettieri – D’Artagnan (al cinema dal 6 aprile). Ed entra nelle nostre case via streaming: è il protagonista di Liaison, serie thriller franco-inglese (su Apple Tv+) che racconta un intrigo internazionale tra Brexit, migranti e cyber-attacchi che minacciano di bloccare Londra (per la cronaca: il settimanale francese L’Express ha appena ipotizzato, tra sette scenari possibili di guerra, oggi per la Francia, quello di un cyber-attacco che «spegne» Parigi).

Nella serie è un mercenario che si destreggia tra servizi segreti, contractor russi e hacker siriani che migrano verso l’Europa: Francia e Italia si scontrano sull’accoglienza di queste persone arrivate dall’Africa e dall’Asia. Lei che idea si è fatto?
«È un argomento complicato. La sola cosa che posso dire, da un punto di vista delle emozioni, è che non si può lasciare morire le persone in mezzo al mare. Forse, oltre che come accoglierli, dovremmo chiederci perché partono dai loro Paesi. E prendercene la responsabilità». 

Il suo personaggio parla arabo: una lingua che conosce?
«No, per niente. Vivendo a Parigi è facile imbattersi in immigrati algerini e marocchini, ma è una lingua che ha suoni diversi e difficili: non so se il siriano che parlo nella serie sia buono».

Sia in Liaison che nei Tre moschettieri recita con Eva Green: che cosa può dirci di lei?
«Che è un’attrice che mi affascina da quando l’ho vista la prima volta in The Dreamers di Bertolucci. Ha delle qualità rare per le attrici della sua generazione».

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C’è della chimica tra voi.
«Sì, è vero, sarà perché eravamo entrambi molto curiosi di lavorare insieme. Quando c’è curiosità le cose accadono. Sul set ci siamo divertiti».

Siete amici?
«No, non posso dire di conoscerla così bene. È una persona molto misteriosa, molto riservata. La apprezzo moltissimo anche per questo».

In Liaison i vostri personaggi hanno un legame d’amore e lavorano insieme: si può fare, con il proprio partner?
«Dipende: se penso a quando ho lavorato con Monica (Bellucci, la sua prima moglie, ndr), in passato, mi è piaciuto moltissimo. Non solo perché mi ha fatto passare più tempo con lei anziché senza, ma anche perché è stato più facile che con un estraneo. C’era un’intimità che si crea tra chi si ama, che è difficile da ottenere altrimenti: quando abbiamo girato Irréversible, non credo avrei mai potuto farlo con un’altra attrice».

Sui social vediamo, insieme a lei, sua moglie e le figlie avute dal primo matrimonio con Monica: definirebbe la vostra un’armoniosa famiglia allargata?
«Credo che l’armonia, come stato permanente, non esista. Potrei usare una metafora: ci si sente come su un filo, tra due grattacieli, e bisogna cercare di arrivare alla fine senza cadere. È un continuo tentativo di mantenere l’equilibrio, bisogna restare molto concentrati, fare costanti aggiustamenti».

Su Instagram possiamo seguire alcuni momenti della sua vita: lei posta i trailer di film e serie a cui lavora, ma anche cose più personali.
«I social sono la punta dell’iceberg della mia vita, o meglio: è una vita privata controllata quella che mostriamo lì. Non è la realtà ma una facciata».

È vero che è stata Tina ad aprirle il profilo?
«Sì, mi ha fatto conoscere i social anni fa, io avevo un atteggiamento poco interessato. Poi mi sono fatto coinvolgere e… Continuo a pensare che è sempre merda».

Per dirla in francese.
«Penso che i social facciano davvero male alle persone. È un modo di riempire la propria esistenza che è completamente artificiale, e anche pericoloso. Mostrano standard di vita completamente distorti e a volte sono un’arma di propaganda terribile. Se sei cresciuto con dei punti di riferimento diversi puoi avere ancora una distanza, se hai solo quelli perdi completamente il contatto con la realtà».

Quindi lei non controlla ossessivamente le notifiche sul cellulare?
«Quando lo perdo, in casa, penso subito che sia un segno di salute. Significa che per un’ora o due non l’ho guardato, non mi sono preoccupato di lui, e non so dov’è». 

Qual è la cosa che attira invece la sua attenzione, cosa la rende felice, che cosa la accende?
«Tutto quello che mi fa sentire libero. Poter viaggiare dove voglio e quando voglio. Avere un rapporto stabile, condividere la vita con la persona che amo, poter passare del tempo con i miei figli, intraprendere i progetti che mi piacciono, godere di buona salute. Essere grati per quello che si ha è già una chiave per sentirsi felice».

Molto zen. Pratica la mindfulness?
«Cerco di farlo in alcuni momenti, se riesco a essere solo. Provo a individuare i pensieri negativi, quello che mi fa stare male o innervosire, e lo relativizzo».

Anche la sua passione per il foil surf è uno sfogo? 
«È una mia grande passione, ho sempre fatto sport e da sempre penso di dover conservare una certa sanità del corpo, e quindi della mente. Ho bisogno di sentirmi bene».

Non sente l’età che avanza?
«Sì, certo. Però penso sempre a una cosa che mi diceva mio padre (l’attore Jean-Pierre Cassel, ndr) e che mi faceva molto ridere: se dopo i cinquant’anni ti svegli e non hai male da nessuna parte, vuol dire che sei morto. Dolori ne ho, quindi posso dire di essere molto vivo».

Anni fa, a Vanity Fair, ha detto: il sesso per me è fondamentale. È ancora così?
«Sì. Non come una somma di atti, ma come termometro del rapporto. Quando una coppia continua ad avere gioia e desiderio è tanto, è un modo di ritrovarsi al di là dei guai quotidiani».

Quando le dicono che è sexy come si sente?
«Penso: grazie cinema. Se mi guardo allo specchio, non sono sicuro che piacerei se non facessi l’attore. È l’immagine che ho creato e i ruoli che ho interpretato. Ma finché questa magia funziona… Meglio, sono lusingato».

In Liaison non ci sono scene di sesso ma molti momenti teneri, come quando gioca con un neonato. È, ed è stato, un papà giocherellone anche con le sue figlie? 
«Sono molto presente, cerco di fare in modo che i momenti che passiamo insieme siano felici, allegri, ha presente? Celebrare la vita tutti i giorni. Una delle cose che ho capito presto è che il momento in cui una persona si forma, diciamo dalla nascita a 13, 14, 15 anni, è importantissimo, perché costruisce i ricordi che si avranno per sempre. Dopo è troppo tardi». 

Che cosa fa per creare ricordi belli?
«Piccoli gesti. Sono un grande sostenitore della colazione, al mattino: è un momento importante, per parlarsi, darsi attenzione. Il ricordo che i figli avranno dei loro genitori poi li spingerà a replicare dei modelli. Dico sempre: se quando sono piccoli avete fatto un buon lavoro, poi non avranno più bisogno di voi. Ed è una buona cosa».

È cambiato il suo modo di essere padre dalla prima volta, vent’anni fa? 
«Adoro essere papà, le mie figlie sono le più belle cose che mi sono successe nella vita, quindi mi sono impegnato ogni volta. Deva l’ho molto voluta, come Léonie e Amazonie, non sono stati incidenti. E non sono mai stato di quelli che temono che con i figli non sarebbero più stati liberi: le ho cresciute, e le cresco ancora, con gioia».

Se si chiede a ChatGPT di scrivere di Vincent Cassel, l’intelligenza artificiale le attribuisce due figlie con sua moglie Tina.
«Bisogna correggere. Abbiamo Amazonie, ed è già molto, glielo assicuro».

Farebbe un altro figlio?
«Sì, perché no. Ma non decido io: sono le donne che decidono quando fare i figli. Per me può essere un desiderio, ma per noi maschi è più facile, per una donna è davvero una scelta decidere se avere una gravidanza, è lei che deve essere pronta o meno. Se avrò un altro figlio meglio, se non ne avrò più va bene, ne ho già tre».

Della figlia più grande, Deva, è geloso? Abbiamo appena appreso che è fidanzata con un modello, Luca Salandra. 
«No, sono felice che abbia questa storia, è una donna molto seria nei rapporti, quindi se sta con qualcuno vuol dire che è innamorata. Poi Luca è un ragazzo affascinante e… italiano, in più».

È un bene o un male?
«Un bene, ovviamente!». Ride. «No, scherzo, potrebbe venire da qualunque posto, per me sarebbe uguale».

Lei è stato un figlio d’arte e ha detto di avere impiegato molto tempo a «uccidere il padre». Anche sua figlia lo è: sarà complicato anche per lei?
«La guardo e vedo una donna che ha una grande facilità a stare sotto i riflettori, una sicurezza che evidentemente le viene da sua madre e suo padre. Ha abbastanza la testa sulle spalle per farcela: ha voluto lei fare la modella e l’attrice, noi non l’abbiamo mai spinta in questo mondo né ostacolata. Non ha complessi nei nostri confronti. E posso dirle una cosa? I genitori che “non si fanno uccidere” sono quelli che non sono mai diventati adulti, in competizione con i figli. Non è il caso di Monica e me. Se Deva domani diventa un’attrice acclamata e con un sacco di lavoro io sarò solo felice per lei».

Non sappiamo molto di Léonie, invece.
«È normale, ha dodici anni. Lasciamola tranquilla per il momento».

Qual è l’insegnamento più importante che le ha lasciato suo padre, e quale quello che lei vuole trasmettere?
«Mi ha insegnato soprattutto che non ci sono regole. La mia variazione sul tema alle mie figlie è: bisogna imparare a disobbedire. Non vuol dire che bisogna fare quel che si vuole, ma imparare a pensare con la propria testa. Soprattutto in quest’epoca in cui ci impongono degli stereotipi di comportamento, di estetica».

Lei è sui manifesti di mezzo mondo, nei panni di un gentleman, per la campagna di Prada: come si diventa un’icona di eleganza dopo essere stato per anni, nel nostro immaginario, Vinz dell’Odio?
«È una grande differenza, ha ragione, ma mi è sempre piaciuto giocare con i paradossi. Quello che mi intriga, anche in altri attori o personaggi pubblici che mi interessano, è quando ti spiazzano, ti sorprendono sempre con sfaccettature diverse della loro personalità. Il fatto che io possa interpretare Vinz e il gangster Mesrine, Giulio Cesare o il mercenario Gabriel, è una gran cosa. La campagna di Prada è un altro ruolo da recitare, è un’opportunità, e anche una forma di libertà. Come dico sempre: meglio fare una bella campagna che un brutto film».

Alcune persone sui social la criticano perché paragonano gli ultimi film in costume, da Asterix e Obelix ai Tre moschettieri, con i film indipendenti degli esordi.
«Lo dico in modo molto chiaro: non ha senso rispondere a chi non si sa chi sia e che ti scrive sui social. È stupido. Se me lo chiedesse Steven Spielberg, o Charles Aznavour o Miuccia Prada, beh, allora avrebbe senso iniziare un ragionamento, ma così… Intendiamoci: all’inizio ho provato a farlo. Ma sono finito in una fogna, una discussione infinita e insensata».

Quindi non risponde mai?
«Mai, e spesso non leggo neanche». 

Continua a non fare i selfie con i fan?
«Assolutamente. Se sto lavorando, sono a una première, su un set, sto promuovendo il mio lavoro insomma, va bene, fa parte del gioco. Ma se sono al ristorante e mi chiedono una foto, no. Chiunque ha un telefono e una fotocamera, è ridicolo. Se ci fosse un’app per far pagare i selfie, chessò, 10 euro l’uno, e i soldi andassero in beneficenza, si raccoglierebbero miliardi per le cause che più ci stanno a cuore».

A proposito: quando viveva in Brasile ha assistito alla massiccia deforestazione dell’Amazzonia e si è battuto per gli indigeni…
«La interrompo: poi la diga di Belo Monte l’hanno fatta lo stesso. Diciamo che come mi sono impegnato io, per l’ambiente, anni fa, non è servito. Quando vedo invece gente come Leo DiCaprio che ci mette tanta energia, impegno e denaro, ecco, mi dico che forse lui può davvero cambiare qualche situazione. Non voglio essere pessimista. Anche se forse sono solo realista».

La frase del suo profilo Instagram è, letteralmente: «Non aspettare banane sotto un mango». Che cosa significa?
«È un modo di dire brasiliano, più o meno significa che quando hai capito come è fatta una persona, è inutile affannarsi per sapere altro».

È anche questo un po’ pessimista…
«O realista, ancora una volta».

Forse si sente più saggio di un tempo?
«Quello mai. Ma ci provo».

P.S. Abbiamo chiesto a Vincent Cassel se volesse commentare il legame tra Monica Bellucci e Tim Burton, l’attore ha declinato.

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