Bresh, intervista: «Chiamatemi Ismaele» | Esquire Italia

A bordo del Pequod, salpato da Nantucket in Moby Dick, si mugugna e si cammina a testa bassa. Se il mugugno è un’arte tipicamente genovese, i viaggi per terra e mare permeano carriera e vita di Andrea Brasi, in arte Bresh, ventiseienne partito da Genova che adesso – a pochi giorni dal lancio del singolo Altamente mia – racconta se stesso e i suoi viaggi a Esquire Italia. È tornato recentemente dal Sudamerica, da Argentina e Bolivia che sognava di visitare prima della pandemia. Ora, risponde al cellulare dall’area di servizio di un’autostrada: «Sto andando a San Gimignano, in Toscana, ma è una toccata e fuga. Vado lì, registro la strofa di un pezzo e tornerò già domani». In estate, invece, Bresh sarà in tour tra Italia e Svizzera, con tappe tra l’altro a Roma, Firenze, Rimini e Salerno e tre date già sold out a luglio: due nella sua Genova (9 e 10), una al Carroponte di Milano (19). Non è casuale che sia sempre in giro, Bresh, lui che oltre un anno fa apriva il suo secondo album (Oro Blu) con una traccia, Ulisse, che non a caso parla del ritorno a Itaca e di una balena, «la bestia come Achab», «io la inseguo e lei mi insegue». Proprio come il tifoso Bresh insegue la stella – ovvero il decimo scudetto del Genoa – che in Guasto d’amore dice di rincorrere «fino a che non l’avrò presa».

Disclaimer, il tuo intervistatore è nato a Genova ed è genoano come te.

Siamo a posto.

È uscita venerdì 7 aprile, a mezzanotte, Altamente Mia. Che sensazioni provi? Come ti senti?

Molto bene. La gente è molto contenta e io anche. Sono gasato, il pezzo sta andando fortissimo.

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La canzone – spoilerata alla fine del video di Guasto d’amore (oltre 3,2 milioni di visualizzazioni su YouTube) – racconta la fine di una storia d’amore, in chiave immaginaria e disfattista. Più immaginaria o più disfattista?

Immaginaria, perché è una storia d’amore che di per sé non esiste, è più l’aver paura di legarsi a qualcuno perché si conosce già il finale.

Speranza e timore, quindi. Possono convivere?

In questo caso, sì. Però, allo stesso tempo, c’è più paura che speranza. Anzi, forse la speranza non c’è neanche.

L’amore è un filo rosso dei tuoi pezzi. In Angelina Jolie, speravi di trovare appunto la tua Angelina ma già allora ammettevi che non saresti riuscito a trovarla. Che cos’è allora l’amore, per te?

Si, è vero. Ho paura di perdere anni di vita, l’amore è qualcosa di troppo importante. Sulla scala dei dolori più forti che uno possa provare, per me l’amore è uno dei primi. Temo il dolore, non l’amore in sé. Credo che gli uomini impieghino più tempo a legarsi, rispetto magari alle donne, ma una volta legati abbiano bisogno di più tempo per dimenticare. Non saprei. Forse l’antidoto, se ce n’è uno, è vivere nel presente. Come sempre.

In Altamente mia, a un certo punto citi le «trasferte la domenica». Mentre nel tuo Svuotatasche metti le sigarette, la Malossi, una pagella e – tra le altre cose – il primo abbonamento allo stadio. Che anno era?

Era il 2005 e il Genoa giocava in Serie C, era stato appena retrocesso. Quello era il mio primo abbonamento, ma facevo anche le trasferte, a seguire il Grifone. Fuori casa, ahimè, si vince un po’ poco. C’era spesso una tensione allucinante e io ero lì con mio padre.

Che cos’è il Genoa quindi, per te?

Il Genoa per me esiste solo a livello metafisico. Io non sono un grande conoscitore del calcio, però nel Genoa trovo la mia infanzia, un grande rito che settimanalmente si riproponeva. Sarà superficiale, sarà di poco conto, ma tengo molto allo stare insieme e so di condividere quel rito con altra gente. Come ogni passione, ha un “Dio” tutto suo, ovviamente tra virgolette. E questo “Dio” è da condividersi con gli altri.

Da condividere ci sono anche i motori? Penso alla Malossi.

In realtà no. Avevo l’F10, l’avevo tutto dipinto con l’aerografo, ci avevo cambiato il radiatore e la marmitta e montato un motore da 75cc sotto. Però non è mai stata una mia grandissima passione.

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C’è qualcosa che aggiungeresti nel tuo Svuotatasche, rispetto ad anni fa?

In questo preciso istante forse no, dico la verità. Le cose fondamentali sono amicizia e famiglia. È una visione un po’ cristiana, però gli amici e la famiglia – sia di sangue che artistica – sono troppo importanti. Non aggiungerei nient’altro.

C’è chi in Svuotatasche rivede la poetica delle piccole cose, Pascoli, chi la poetica degli scarti, gli Ossi di seppia di un grande genovese, Montale. Chi è veramente Bresh? Un cantautore? Un rapper? Un poeta?

Se vogliamo, sono un pochino più cantautore che rapper, però non è neanche giusto. Io alla fin fine vengo dal rap. Se fossi un cantautore, sarei più un rapper. Se fossi un rapper, sarei più un cantautore. Capito? Sto un po’ nel mezzo. Io cerco di fare le cose sempre in maniera molto spontanea e cerco di non pensare mai al genere. Mai, neanche un secondo. Temo di interrompere la magia. Se mi viene da fare il rapper, lo faccio. Lo decide l’attimo.

Non esistono più i generi musicali, sei d’accordo?

No. Oddio, secondo me la gente ha ancora bisogno di categorizzare, però è vero che tutto si uniforma. Ci sono sempre più sfumature nella musica, e quindi hai ragione, ma le contaminazioni vengono comunque da altro. Quindi un po’ di generi, in realtà, esistono ancora.

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Guasto d’amore è un coro dedicato al Genoa, cantato al tramonto in una sera di lockdown a causa della pandemia. È finito subito in testa alla Top 50 Italy di Spotify, con oltre 21 milioni di stream in due mesi, e ora è disco di Platino. Ma è pur sempre un coro da stadio…

È stato un effetto shock, tipo “oh che cazzo, cos’ho combinato? L’ho fatto davvero?”. Cioè, era veramente la cosa che volevo fare sin da bambino, quando sognavo ad occhi aperti. Avendola fatta, realizzata, quasi non voglio crederci. Se dovessi crederci, sarebbe come se fossi arrivato già alla fine. Quindi cerco di guardarla come fossi un tifoso, come se Guasto d’amore non l’avessi fatta io.

Ti rendi conto di aver lasciato per due anni sospesa questa canzone mozzata, postata sulle Storie di Instagram e pubblicata dopo così tanto tempo?

È una roba particolarissima. Ha una storia a sé stante, così particolare. Mi domando quanto sia stata piacevole, quanto sia stata calamitante. Come può aver avuto tutto questo hype? Forse perché è un pezzo con parole apparentemente semplici ma precise, e questo mi fa riflettere.

Hai detto di averla pubblicata solo dopo l’insistenza del tuo amico e rapper Vaz Tè. Ti sarai sdebitato, immagino.

Mi ha detto: “Questo pezzo spacca”. E io gli ho detto: “Sai, hai ragione”. Gli ho offerto un sacco. E non basterà mai, con tutto il successo che ha avuto Guasto.

È passato più di un anno dall’intervista a Esquire in cui ci raccontavi: «Izi e Tedua credevano molto più di me che sarebbe arrivato il mio momento». Senza Guasto d’amore, il tuo momento sarebbe stato rimandato o no?

Non so che sarebbe successo senza Guasto, comunque per me è ancora fresca. La stagione deve ancora finire, e se dovesse finire bene (col Genoa promosso in Serie A e la retrocessione della Sampdoria, nda) quest’anno ci sarà da ridere ancora un po’. Però avrei continuato a fare musica.

Se non avessi sfondato nella musica, avresti avuto un piano B?

Sì, o al bar o in porto. Credo, forse, più in porto.

Dopo la maturità a Genova, invece, ti sei trasferito a Milano dove hai cambiato molti lavori.

All’inizio ho fatto il commesso in un negozio di scarpe. Poi in cucina e al catering in un bar di Porta Genova, quindi vendevo buoni sconto per conto di palestre e piscine. Ho lavorato a un festival di musica, l’Estathé Market Sound, dove preparavo panini. E già a Genova avevo lavorato in diversi bar.

Cosa diresti all’Andrea di allora?

Ho saputo aspettare, quindi gli avrei detto di non mollare. O forse gli avrei detto di non perdere tempo dietro a stupidaggini, perché ogni tanto ho perso anche del tempo. Però sai, alla fine credo che il destino fosse scritto, quindi non avrei dovuto fare altro rispetto a quello che ho fatto. Sono parole come se fossi arrivato da qualche parte, ma in realtà non mi sento arrivato. Sono giovane, ho 26 anni, però per adesso sono soddisfatto. Questo posso dirlo.

Tu che nasci a Genova e ti trasferisci poi a Milano, vedi una dicotomia tra le due città?

Se c’è una sfida, l’abbiamo noi in testa. A Milano non gliene frega, sanno di non stare simpatici ai genovesi, ma non hanno grandi pregiudizi. Li abbiamo noi. Se noi liguri fossimo più accoglienti, sarebbe meglio. Papale papale, i milanesi non fanno che venire a portare soldi, non so perché non li si accettino. Ma capisco i mugugni, in un certo senso. Se io non mi fossi trasferito a Milano, non mi sarebbe passata per la testa quest’idea, perché il ligure è tipicamente chiuso, non ci possiamo fare niente. Credo che con la globalizzazione, se si può dire, e con l’avvento dei social, anche noi – i giovani che si sono trasferiti da Genova a Milano, o che si recano a Milano per studiare – faremo scemare quest’idea. Soprattutto in caso di terzo valico: poterci muovere da Genova a Milano in 45 minuti ci regalerebbe soddisfazioni, a livello anche di ripopolazione giovanile.

Paolo Conte canta di Genova per noi. Esiste una Genova per Bresh? Nel video di Guasto d’amore, si intravedono dei frame da Spianata Castelletto o il castello MacKenzie.

Il mio luogo del cuore a Genova forse è il quartiere di Quinto. Al di là dei vicoli, chiaramente, e delle bellezze della nostra città. Quinto, con le sue spiagge, a farmi gli affari miei coi miei amici.

Lo canti: «I vicoli la notte, gli amici miei la sera».

Esatto.

La canzone continua: «L’Italia che resiste, che non la puoi toccare». Perché non si può toccare?

Perché alla fine siamo un popolo molto orgoglioso. Un mio amico genovese che abita in Argentina dice che siamo un popolo stanco. O corsaro. Però stanco, perché ci portiamo appresso un sacco di storia, di vessilli, che hanno una responsabilità enorme e che non riusciamo ad oggi a mantenere. Siccome sono difficili da mantenere, siamo stanchi. Però siamo forti, siamo belli. Quando andiamo all’estero, ci piace essere italiani. Ci sentiamo un po’ intoccabili, capito?

Lo scorso 21 maggio, il Genoa già retrocesso ospita il Bologna e i tifosi creano una coreografia ispirata a Guasto d’amore.

È stato il primo vero, grande, shock. Sicuramente, io sono un figlio di quella gradinata. Quando capita che mi invitano in tribuna, io chiedo di andare lì in gradinata. Capisco Faber quando disse di essere troppo coinvolto e di non riuscire a scrivere un pezzo sul Genoa, ma non è che Guasto d’amore è di Bresh. Cioè, certo che Guasto d’amore è di Bresh, ma Bresh vuole vedere la Gradinata Nord che la canta. È una canzone per loro, è una canzone per noi tifosi genoani. C’è il rischio che, a essere coinvolti così tanto, tu finisca per staccarti, no? Per questo non voglio sia mia, voglio emozionarmi da tifoso. Quando la canzone la scrivi tu, se vuoi darti arie, non te la godi realmente.

bresh, intervista al cantante tifoso del genoa

Simone Arveda

Dici che quella partita è stata il primo shock. Il secondo è il 28 gennaio, quando in Genoa-Pisa allo stadio Luigi Ferraris si canta Guasto d’amore, uscita da appena due giorni?

Sì. Pazzesco, allucinante. Sai, il Genoa mi aveva già proposto di essere il volto della campagna abbonamenti, ma ho rifiutato e ho concesso solo il pezzo. Come pure l’anno prima, quando me lo chiese il presidente Enrico Preziosi. L’ho fatto perché mi imbarazzava, non volevo spettacolarizzare me stesso. Volevo che si spettacolarizzasse la Gradinata Nord, il pubblico. La mia faccia, alla fin fine, non la trovavo all’altezza.

Guasto d’amore nasce per il Genoa. Ti inorgoglisce o infastidisce pensare che la si usi per altri motivi?

Mi inorgoglisce. Dovrebbe rendere orgogliosi tutti i genoani. È una canzone dei genoani in primis, ricordiamocelo. Se altri prendono la canzone, è solo un omaggio e un motivo d’orgoglio per noi, una virtù. Quando i tifosi di altre squadre verranno a Marassi e la sentiranno cantare dov’è nata, si inchineranno al tempio di quella canzone. Non m’infastidisce perché quella canzone farà crescere il Genoa. E i genoani.

Mi hai detto che saresti potuto andare a lavorare al porto. Bresh è più un camallo o un pirata?

Boh. Credo più un camallo, a questo punto.

Qualche tempo fa, ho scritto su Esquire un pezzo su di te, titolato in maniera polemica: Bresh è arrivato dove non è arrivato De André. Che ne pensi?

È un titolo pericolosissimo.

Però a differenza sua hai scritto un inno al Genoa, che però non contiene la parola “Genoa”. È un compromesso?

È il modo per scrivere una canzone d’amore reale. Qua magari mi prendo dei meriti, ma senza volermi elevare troppo. Sarebbe stato banale mettere “Genoa” in un pezzo per il Genoa. Non era plausibile. Volevo raccontare il sentimento, non la squadra di calcio. I tifosi in generale, di qualunque squadra, sanno in cuor proprio che – nel subconscio – non si tifa chi c’è in campo. Si tifa un’entità metafisica e si tifa assieme agli altri, ci convinciamo di avere un ruolo attivo per la squadra. È il piacere di avere un Guasto d’amore, in fondo.

Il tuo sogno proibito sarebbe stato duettare con De André, che per Izi «è la voce del popolo e la voce di Dio, allo stesso tempo». Che ne pensi?

Sono d’accordissimo, Faber è la voce del padre. Però vedi, anche De André mica parlava dei fatti per com’erano. Li descriveva, capito? Io non voglio essere paragonato a lui, ha una grandezza tale che mi imbarazzerebbe, però c’è tanto di lui nei miei testi.

C’è un artista in vita con cui duetteresti volentieri, invece?

Credo Marracash, o Fabri Fibra.

Fabri Fibra è stato il tuo primo contatto col rap, da piccolo.

Sì, lui ed Eminem.

Che rapporto ha Bresh con la religione? Crede?

Ho fatto la comunione e sono cresimato. Credo, ma non nella Chiesa cattolica convenzionale. Cerco qualcosa di più profondo a me, non so se mi spiego.

Che rapporto ha Bresh con la politica? Crede?

Non credo molto nella politica. Più che altro credo ai soldi, ma – scherzi a parte – ho avuto il mio periodo di assiduità. Non militanza, ma interesse costante. Oggi l’ho un po’ abbandonato e forse un lavoro artistico come il mio mi ha aiutato ad abbandonarlo. Oggi comunque leggo e mi informo, ma forse ho sostituito quell’assiduità con l’arte.

Arriviamo alla Drilliguria, il collettivo che tra gli altri unisce te, Tedua, Vaz Tè, Disme e Izi. Lui, sul palco dell’Ariston, a Sanremo, ha eccezionalmente cantato Via del campo con Madame. Cosa vi lega? L’eredità di Paoli e Tenco?

Quello che ci lega è la città, coi suoi modi di fare. Sono modi di fare liguri, chiusi ma allo stesso tempo molto saldi, legati. Per me l’amicizia è una cosa importante, gli amici non li cambi né li abbandoni. Noi sentiamo molto l’amicizia. Mi parli di Gino Paoli, qualche tempo fa ho sentito una sua intervista da Linus. Paoli gli raccontava di un suo amico di Genova, e Linus lo interrompeva con qualcosa come: “Cavolo, voi genovesi siete molto legati agli amici”. E Paoli gli ha dato una risposta del tipo: “Sono rimasto un po’ interdetto. Perché, voi non siete legati agli amici?”. Ragazzi, cioè, gli amici sono importanti. Senza di loro, io mi sento perso. Forse, noi genovesi abbiamo legami più profondi di altri?

A proposito di legami. Il tuo secondo disco si intitola Oro Blu, e chiaramente l’oro blu è il mare. Quindi, Bresh è un ambasciatore della genovesità.

Sì, la genovesità c’è sicuramente. Mio padre è stato un camallo per tutta la vita e io sono affascinatissimo da quel mondo, mi piace e ne avrei voluto fare parte se non avessi fatto musica. Il mio disco non è borghese, però sì, è grezzo. C’è una parte di genovesità, anche grezza, nei miei pezzi.

Secondo te, il rap è antiborghese?

Teoricamente sì. Ci pensavo proprio oggi, da solo, in macchina. Lo è, però oggi la borghesia è un concetto particolare. La classe media non è necessariamente borghese, secondo me.

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«Oro Blu perché tutto ha un prezzo, che sfiga», canti. Quindi che si fa, si oppone resistenza al capitalismo?

Non si può. Anche per dire Singapore, che è un paese di sinistra, è uno dei paesi più capitalisti al mondo. Credo che il capitalismo faccia parte della nostra trama sociale. Produzione e consumo, è abbastanza palese. Forse una speranza ce la può dare internet con la DeFi, la finanza decentralizzata e quelle cose lì, le trovo interessanti. O penso a Facebook col Marketplace, che senza rendersene conto è una buona forma di riutilizzo dei beni, per dar loro una loro seconda vita. Se ci penso, però, voglio dire, è difficile che qualcuno compri un telefonino di tre o quattro anni fa. E sì, l’oro blu è l’acqua. Alcuni paesi già la stanno razionando agli agricoltori. Noi siamo fortunati, l’Italia ha le Alpi qua dietro. Qualche settimana fa sono stato in Bolivia, ho visto coi miei occhi i problemi di approvvigionamento idrico che ha la gente. Noi siamo fortunati ad avere le sorgenti, eppure sembra che a volte ce ne dimentichiamo.

Oltre all’amore, tra i tuoi temi principali c’è il viaggio. Dal nostos di Ulisse di rientro a Itaca, alle peripezie di Achab all’inseguimento di Moby Dick. Ti senti più un Omero o un Melville?

Forse, Melville.

Quindi anche Bresh dà la caccia alle sue balene. Quali?

Sì, tipo il cambiare genere e la depersonalizzazione, però quelle sono più sirene che sono costanti nella vita. Quindi, cerco di combatterle.

Il nome iniziale dell’album Oro Blu era Cinema. Facciamo un gioco, sei un regista e hai budget illimitato. Che film viene fuori?

Altri cinque film de I Pirati dei Caraibi. O Avatar 3, non ho ancora deciso.

In Andrea, canti: «Diventare grandi, ma non vuole dire solamente crescere». Cosa vuol dire diventar grandi, allora?

Nonostante la mia faccia, non cresco mai. Cresce solo il mio fisico. Vuol dire che non si diventa grandi da un giorno all’altro, si diventa grandi quando la propria indipendenza si concretizza. Non credo che la vita sia divisa in due, ecco.

Nei tuoi pezzi, unisci raffinatezza e cultura pop. Passi con nonchalance da Xena e il minotauro a Craxi ad Hammamet. Come componi i tuoi testi?

Per me, l’arte è ispirazione momentanea. È la vita che decide.


Classe 1997, genovese e genoano (pure non in quest’ordine), ha studiato a Savona spaziando tra il giornalismo e la SEO.

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